Pianosa
Tutto inizia a dicembre 2001 con una telefonata dell'armatore Federico Cuomo, intenzionato a riportare in vita un vecchio gozzo sorrentino ormai snaturato, ripristinandone anche l'originale armo a vela latina, degno del cantiere Aprea che lo costru? nel 1947.
Avevo in corso i progetti di restauro per Iduna, Black Swan e Magda XIII, e la richiesta di restauro di un semplice gozzo di 12 metri mi colse piacevolmente impreparato. A renderlo interessante fu senza dubbio il grande entusiasmo dell'armatore che, cosciente di stare per intraprendere una lunga e delicata operazione, non mise termini di tempo sia per il progetto che per la realizzazione, dimostrando cos? di capire ed apprezzare tutti quegli sforzi di studio, progettazione ed esecuzione che stanno dietro ad ogni restauro.
Inizia quindi, una fase preliminare di analisi dell'imbarcazione e delle immagini che la ritraggono nel tempo: fotografie spesso sfocate o dove la barca fa semplicemente da sfondo al ritratto di una bella signora in posa.
Si sono studiate le varie evoluzioni della coperta e della tuga che nel corso degli anni cambia radicalmente il suo aspetto, passando da un semplice cofano per il motore ad un vero e proprio riparo abitabile per chi compiva il triste tragitto da o per l'isola di Pianosa, passando attraverso quattro o cinque diverse trasformazioni.
? cos? che la tradizione del gozzo sorrentino, di cui ? detentore Giovanni Aprea, si fonde con le poche preziose informazioni ritenute degne di nota, come l'ex cofano motore, oggi tuga, dove trovano alloggio, in maniera discreta, un piccolo angolo cottura ed un bagnetto di servizio. Al suo interno, volutamente lasciato con la struttura a vista e senza paratie, trovano posto quattro comode cuccette addossate alle murate. Solo cos? facendo, si ? data la possibilit? di apprezzare dall'interno quel lento susseguirsi delle bianche ossature, che disegnano le forme di Pianosa con un ritmo perfetto.
Fondamentale si ? rivelato il tradizionale pozzetto di poppa, vero salotto della barca che pu? ospitare pi? di una dozzina di persone, spazio originariamente dedicato al lavoro dei pescatori. Questo spazio, pi? di altri, ? l'emblema del recupero della barca che, pur cambiando completamente la sua destinazione d'uso, riesce a mantenere il suo aspetto originario di barca da lavoro.
Per favorire ancora di pi? il suo aspetto originale, ho voluto mantenere inalterato lo spirito che componeva e allestiva tutte queste barche da lavoro, ovvero, il recupero e riciclo di materiale in disuso. Come ? noto, nell'immediato dopoguerra molte imbarcazioni italiane attingevano al materiale bellico dismesso dalle forze alleate cos?, ad esempio, il motore era quello delle jeep oppure, come nel caso di Pianosa, quello di un carro armato.
Come ? ovvio, Pianosa non monta pi? il motore del carro armato, bens? un pi? consono, affidabile e certamente pi? silenzioso Volvo Penta da 130 Hp. Quello che per? ho disperatamente cercato presso gli antiquari, ? tutta quella seria di oggetti che attraverso l'occhio datano la barca, come le luci di bordo interne ed esterne, i fanali di via, i bozzelli, volutamente diversi l'uno dall'altro e la bussola, non a caso americana e datata 1943, ancora dentro la sua scatola di legno fermata con una correggia di cuoio, pronta da sistemare al lato del timoniere. Il tutto, senza mai cedere all'oggetto troppo ricercato, pi? tipico dello yacht di lusso; anche se pu? apparire come un controsenso, definirei questo come un atto di ricercata spontaneit?.
Altri particolari di moderna fattura si mimetizzano alla perfezione, grazie al loro aspetto: le cime sono di canapa della corderia Borbonica di Castellammare di Stabia, il verricello salpancore Orvea ? in bronzo e nasconde all'interno della campana il proprio motore, alla veleria Doyle di Palermo invece, ho chiesto espressamente di maltrattare e macchiare con dell'olio il cuoio della bugna cucito a mano sul dacron ecru.
L'antenna, in particolare, lunga 17 metri e scomposta in tre parti legate a stroppo tra loro e che al principio spaventava molti per le sue dimensioni, appare oggi l'elemento che pi? di altri slancia la barca quando cede alla maest? di una vela che nobilita la sua natura.
Questo progetto, forse un po' anomalo, ? stato eseguito per met? sulla carta (piano velico, di coperta e alberatura) e per l'altra in cantiere, per met? con la matita e per met? con le parole, a stretto contatto con le maestranze, con le quali spontaneamente si ? creato un clima sereno di dialogo, di reciproci scambi di idee legate a culture diverse e ad un ormai purtroppo raro lavoro in letizia che ha portato all'ottimo risultato che ? oggi sotto gli occhi di tutti.
Forse, quest'incontro ideale di altri tempi ed il modus operandi degli Aprea, in tutto identico a quello di cinquant'anni fa, ci ha reso tutti partecipi di una sorta di salto temporale che ha spontaneamente condizionato tutti gli interventi svolti su Pianosa che ha oggi finalmente dimenticato la sua veste grigia legata ad un triste passato che gi? non le appartiene.
Nel 2003 Pianosa ? stata dichiarata dal Ministero dei Beni Culturali, imbarcazione storico e parte del patrimonio storico artistico italiano.
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